martedì 9 agosto 2011

Senza voto.

Sebbene la trasposizione cinematografica fosse largamente romanzata, chiunque abbia visto "A Beautiful Mind" ha almeno potuto farsi un'idea di chi sia John Nash.
Per chi non lo avesse visto, diciamo che John Nash è uno dei più importanti matematici che il '900 abbia conosciuto (e ce ne sono stati davvero parecchi di eccezionali). 

Nato nel 1928, già da giovanissimo fece grandissime cose, tanto che il Nobel che gli fu assegnato nel 1994 era dovuto a teorie che egli aveva formalizzato mentre era ancora studente universitario.
Non esiste il Nobel per la matematica e quello che gli fu assegnato fu per l'Economia, in quanto le sue scoperte matematiche sono usate per lo studio di certi fenomeni economici di cui ora non merita parlare.

Nel 1959 venne colpito da disturbi mentali di una certa consistenza e fu più volte ricoverato. Non è facile spiegare in cosa consistessero questi problemi ma, come dice lui, li potremmo definire schizofrenia paranoica, sebbene in una forma particolarmente specifica.

La cosa che mi interessa sottolineare è la totale concentrazione che persone come Nash riescono a mantenere per anni interi su un singolo argomento.

Come altri, anch'egli si è dedicato solo ed esclusivamente alla sua fondamentale passione (la matematica, in questo caso) con l'obiettivo di spingere il suo pensiero sempre più avanti ed indagando molti fenomeni della vita quotidiana, ma sempre con lo stesso focus.

Mi ha sempre molto colpito che persone così vengano ammirate per ciò che scoprono o per la celebrità che raggiungono quando viene loro assegnato un premio, ma se questa celebrità o innovazione non arriva, le persone, diciamo così, monotematiche vengono normalmente ritenute di minor valore rispetto a coloro che trovano nella vita mille interessi.

Ancora una volta, l'accettazione sociale sembra andare verso il "molto" invece che verso l'"unico", come se avere una passione od un interesse totalizzante fosse un insuperabile aspetto negativo di un essere umano.

Quando invece si guarda questo fenomeno da più distante, allora si scopre che praticamente tutto quello che oggi la scienza ci ha portato a conoscere nasce da questa fenomenale monomaniacalità.
E lo stesso vale per molte forme d'arte, che sembrano poter raggiungere il loro apice solo in persone che dedicano la propria vita ad essa in forma assoluta e monacale.

La cosa vale anche per gli atleti: se prendete la vita di un nuotatore con mire olimpiche, vi posso assicurare per diretta esperienza che spazi per interessi diversi dalla loro attività sportiva non esistono.
E cose simili accadono a chi vuole dedicarsi alla danza o all'alpinismo o a esperienze fisiche che "i normali" considerano proprie di menti malate e di persone ben poco interessanti.

Diversamente da chi la pensa in quel modo, io sono da sempre molto attratto da queste forme eremitiche di vita, tanto più quando sono proprie di persone che poi hanno una vita per altri aspetti normale.

Addirittura John Nash, nella pagina biografica che scrisse in occasione del Nobel, sostiene che le persone che manifestano certi disturbi mentali (e spesso la monomaniacalità viene considerata tra questi) dovrebbero essere poste dalla società nelle migliori condizioni per poter investire completamente il loro io nella ricerca. 
Sostiene anche che nel suo caso, la "guarigione" ha comportato una riduzione delle sue facoltà di penetrazione mentale dei problemi.

Avremmo avuto Bach o Darwin o Messner o i coniugi Curie se queste persone avessero avuto mille interessi, anziché concentrarsi per lunghi anni della loro vita sulla loro singola volontà?

Ma questo discorso su cosa sia buono o meno, troppo vicino al limite della malattia mentale, se sia meglio interessarsi di mille cose o di una sola è davvero una trappola gigantesca, quasi che ogni difetto che cerchiamo nelle vite altrui si rifletta immediatamente ed in senso contrario nella nostra.

Per finire, un'ultima nota si John Nash: guardate la homepage di John Nash nel sito dell'Università di Princeton

Conoscete qualcosa di più modesto?

Sembra davvero che più lontano si va con il pensiero, più ci si avvicini alla settima asserzione del Tractatus di Wittgenstein (che nemmeno voleva pubblicarla, quell'opera grandiosa),  o al "Hypotheses non fingo" di Newton, casualmente due esseri assolutamente maniacali e monacali

Forse una vita senza giudizi sulle scelte altrui (scelte che non ledano diritti di terzi, ben s'intende) sarebbe migliore per chi la vive.


lunedì 8 agosto 2011

Dove si parte da uno, appare uno spettro e poi Al & Al lasciano una briciola...


E' oggettivo che chi esegue una musica che ha composto, e più ancora se questa è accompagnata da un testo, mostra capacità che un semplice interprete non ha.
Forse per questo siamo spinti a pensare ad un valore diverso e maggiore di chi compone rispetto a chi esegue.

Credo di aver creduto questo davvero fino a pochissimo tempo fa. E quando mi capitava di sentire una versione nuova di una canzone già nota, anche se migliore di quella dell'esecuzione data dall'autore stesso, comunque mi pareva più facile "interpretare" che "comporre".

Poi ho cominciato ad ascoltare Johnny Cash e ho cambiato idea. Adesso so che un grande interprete può farti capire un brano meglio, e forse oltre, l'intenzione dell'autore.

Così, presa coscienza di questa cosa, mi sono reso conto della enorme grandezza che c'è in chi riesce a spiegare un significato recondito con la semplice "lettura" di suoni e parole già scritte e vincolanti.

Siccome non ho questa capacità, vediamo se riesco a spiegarmi usando altre parole ed il tempo di chi mi legge.

L'autore scrive un brano (musica e testo) ben sapendo cosa intende dire, cosa vuole trasmettere. Nel farlo, può usare tutte le conoscenze che ha sia di composizione musicale sia di tecnica letteraria.
Ha davanti il rigo musicale ed un foglio bianco ed inizialmente nulla gli è precluso.
Prende il suo "messaggio" e gli dà la forma che crede più opportuna, scegliendo "a piacere" quanto vuole che il messaggio sia chiaro e comprensibile.
Soprattutto se la sua poetica è già nota al pubblico, chi ascolta interpreterà il messaggio con tanta maggiore precisione quanto più conosce (e magari ammira) l'autore.
Il "codice interpretativo" tra ascoltatore ed autore è noto ad entrambi, e tanto più se l'autore è anche interprete del brano.

Ecco un esempio, con una canzone fatta bene e conosciuta: "One" degli U2

Quando invece il brano è interpretato da altri, tutta la libertà di cui l'autore ha goduto si traduce in vincoli per l'esecutore: quelle sono le parole, quella la musica.
Ovviamente gli resta qualche spazio di manovra: la tonalità, il tempo ecc. ecc.

Se è bravo, riuscirà a comunicare quanto e forse meglio dell'interprete originale, cioè l'autore.
E questo possono farlo in molti.

Ma alcuni riescono a fare di più: riescono a comunicare un "messaggio" diverso da quello originale.

Continuiamo nell'esempio: questa è la stessa "One" interpretata da Johnny Cash

Un altro buon esempio chiarificatore si può avere prendendo un caso del tutto opposto, in cui l'interprete banalizza e riduce il senso del brano rispetto alla versione dell'autore: capita, ad esempio, con Celentano e Paolo Conte...
Questa è "Azzurro", interpretata a mo' di filastrocca da Celentano, dove c'è un omino che attende il ritorno della moglie dalle vacanze e tutto finisce lì; 
questa invece è la versione di Conte dove prende forma il dramma di quest'uomo, spezzato tra nostalgia, presente e futuro, tra solitudine, attesa e desiderio di un'altra vita ("... ma il treno dei desideri nei miei pensieri all'incontrario va..")

Dato per scontato che abbiate percepito la differenza sostanziale tra le due versioni di "One" e di "Azzurro" (ma se non vi è capitato, va bene lo stesso), il fenomeno si presta a osservazioni che reputo interessanti.

La prima osservazione è che il "nuovo messaggio" è stato trasmesso con un diverso "codice interpretativo", dato dalla diversa tecnica, ad esempio, di Cash rispetto a quella degli U2... e fino a qua ci siamo.

Adesso vi invito a spiegare con parole vostre i diversi significati delle due versioni che avete ascoltato (di una o dell'altra canzone). Vi ci vorranno frasi e frasi.

Cash (così come la Piaf, Caetano Veloso, Maria Callas e altri grandissimi) ci riesce invece senza aggiungere una sola parola al testo originale. Si potrebbe dire che può farlo attraverso il cambiamento di alcuni parametri musicali, ma non è così, poichè allora basterebbe applicare una tecnica e chiunque riuscirebbe a farlo.

Ma il fantasma che vi si presenta dinnanzi quando la Lucia di Lammermoor della Callas entra nel delirio è altro dalle parole di Cammarano, dalla musica di Donizetti e da abili giochi vocali...

Dunque cos'è che riesce a far passare un nuovo messaggio attraverso parole che abbiamo sentito mille volte?

Sapete che in questo blog ci sono più domande che risposte...

Per intanto, io ritengo che abbia a che fare con quella cosa che chiamiamo "intelligenza" e due signori ci hanno lasciato una traccia per capirne di più.

Forse, sempre forse.