giovedì 30 giugno 2011

"Di" rovescio.

Nella speranza che si possa vivere un po' meglio in questa vita e su questo pianeta, credo sarebbe opportuno mettersi d'accordo su poche cose basilari.
Ed evitare errori di fondo che, per quanto condivisi e nati da semplici questioni di comunicazione, restano tali e portano danni incommensurabili.

Ad esempio la parola "diritti" non dovrebbe mai essere seguita da preposizioni come "di", "dei", "delle" ecc. ecc.

Sarebbe ora di convincersi definitivamente che non esistono i "diritti delle donne" o quelli "dei lavoratori" o "degli omosessuali". I diritti esistono e basta e, quando esistono, non sono limitati a questo o quel soggetto, ma, al più allo "stato" di quel soggetto..
Definendoli come "diritti di", essi possono essere facilmente confusi (soprattutto se qualcuno ha la volontà di crearla, questa contrapposizione) come diritti "opposti" a quelli di un altro (persona, genere, gruppo che sia).

Ma un diritto non è mai l'opposto di un altro diritto.
L'opposto di un diritto è la negazione di quel diritto. E basta.

E, nella vita, noi non siamo solo "una" delle categorie attualmente accreditate di "diritti di": in un solo attimo, ognuno di noi può diventare titolare di un "diritto del malato" al primo colpo d'aria o, per una banalissima storta al piede, di un "diritto del portatore di handicap". Sceso dall'auto, il soggetto del "diritto dell'automobilista" assurge a titolare di un "diritto del pedone".

Il diritto non può essere "relativo", tanto quanto non può essere "assoluto": ogni diritto comprende il suo limite intrinseco, altrimenti non è un diritto, ma la negazione di un diritto diverso.

Insomma, ogni volta che si parla di "diritto" ognuno dovrebbe prendere coscienza che quello è un "suo" diritto, a qualsiasi condizione umana esso si riferisca.

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